Francesco alias Helveg: dal vinile alle locandine con le sue serate. Il dj del capoluogo racconta la storia di una passione

Francesco De Lisio  aveva 5 anni quando i suoi genitori lo portavano con loro a casa di alcuni amici e, a quell’epoca, non poteva certo immaginare che la musica, un giorno, avrebbe rappresentato una parte consistente della sua vita. Al tempo, durante quelle feste, nella sala da pranzo di casa Anzovino, il proprietario dell’abitazione, il signor Giuseppe, faceva ballare ai suoi invitati la musica anni ’60.

Il piccolo Francesco guardava con piacere i suoi divertirsi insieme ad altri amici di famiglia e, con altrettanto piacere, di fianco al giradischi prendeva confidenza con il mondo della musica, sfogliando le copertine dei vinili. È così che è nato tutto, un po’ per caso un po’ per fortunate coincidenze. Soprattutto perché i figli di quel signor Giuseppe, appassionato di musica anni ’60, sono stati un po’ i papà musicali di Francesco.

Uno passandogli le canzoni da ascoltare, l’altro, Carlo Anzovino, noto dj del capoluogo, per avergli insegnato i trucchi del mestiere, quando Francesco lo guardava suonare nei locali in cui è lui oggi a mettere i dischi.

Francesco infatti nel frattempo cresce, si appassiona alla musica e inizia a osservare da vicino questo dj che lui conosce da sempre e, di cui apprezza soprattutto il modo in cui riesce a imporre generi diversi, in locali che si configurerebbero come semplici discoteche. In quel periodo al blasonato Amadeus, nei pressi del cinema Maestoso, riescono a trovare difatti una zona di confort anche le canzoni dei Nirvana, dei Cure o degli Oasis. All’epoca, con Carlo, cose improponibili per la massa diventavano lì del tutto apprezzate dal folto pubblico del locale.  Dall’Amadeus, Anzovino approda poi all’altrettanto affollato bar di via Insorti D’Ungheria, quello dove le persone la sera arrivano fino al ciglio della strada e dove, ai tempi, ad accogliere i clienti c’era una delle icone simbolo del capoluogo, Piero Ioffredi, detto Polpetta. È lì che Francesco partecipa alle serate di Carlo e un pomeriggio, sicuro di ottenere un rifiuto,  prova a chiedere a quest’omone grande e grosso se può fare una serata. All’inaspettata risposta positiva fa seguito il problema della scelta del nome d’arte da apporre sulla locandina. A risolvere la questione sarà però il compagno di università che aveva accompagnato Francesco quel pomeriggio. “Scrivici Helveg, come il giocatore”, dice con un sorriso, riferendosi a una certa somiglianza fisica tra i due. Un nome questo, che fa subito simpatia a Piero, soprattutto per la maglia dell’Inter indossata in quegli anni dal calciatore danese.

È il 2007 e qualche giorno dopo la prima locandina con il nome di Francesco consacrato ormai come Helveg è pronta: la sua prima serata ci sarà sabato 3 febbraio.

Da allora sono passati più di 8 anni e Francesco non solo ha conservato quel nome, ma continua a suonare nel locale che gli ha dato popolarità. Il giovedì per molti ragazzi del capoluogo la sua musica è un appuntamento fisso e molte delle locandine delle sue serate oltre a essere state fissate sul soffitto del bar ‘Pulp’ continuano, di settimana in settimana, a essere condivise sui social.

Lo avresti mai detto? “Assolutamente no. Non avrei mai immaginato che quella serata sarebbe stata solo l’inizio di tante altre e, soprattutto, non avrei mai immaginato che dopo tutti questi anni la gente mi chiamasse Helveg ovunque, anche allo stadio, forse dimenticandosi del tutto il mio nome di battesimo”.

Come la vivi questa cosa? “In realtà mi diverte molto. È una cosa che ho lasciato andare e che mi va bene così”.

Il giovedì ormai è un appuntamento fisso con le tue serate. Come ti prepari e come scegli le canzoni? Quando ci inizi a prendere la mano e vedi le persone che reagiscono in un determinato modo ad alcune canzoni, ti viene proprio l’abito mentale di iniziare a ragionare come se stessi continuamente componendo una scaletta. Senti un pezzo e magari come prima cosa non pensi questo mi piace o non mi piace, ma ti chiedi se può star bene subito dopo un altro”.

Una cosa positiva e una negativa di queste serate e del tuo mestiere in generale? “La cosa bella del pubblico del giovedì è che è molto educato e molto tollerante musicalmente, quindi non solo puoi mettere di tutto ma soprattutto nessuno si lamenta se ogni tanto fai qualche deviazione dal solito. Però è pure vero che a una certa ora si crea uno ‘zoccolo duro’ di persone che vuole sentire sempre le stesse cose, a volte anche nello stesso ordine”.

A che canzoni ti riferisci? Ce ne sono alcune in particolare che sono: ‘Alghero’ di Giuni Russo, ‘Non succederà’ più di Claudia Mori e ‘Ballo ballo’ di Raffaella Carrà. Ecco, succede che le persone te le chiedono e in quel momento sei ingabbiato, perché l’equilibro di un bravo dj è comunque quello di trovare un punto d’incontro tra i propri gusti personali e quello che vuole sentire la gente”.

Come le gestisci le richieste? “Mah, alle volte ci riesco di più, alle volte di meno. Secondo me, è più difficile per il pubblico poter comprendere come  un dj si può anche rompere le scatole di mettere per un anno intero duecento volte la stessa cosa. Però, è pur vero che i clienti vanno accontentati, in fondo queste canzoni sono dei cavalli di battaglia che vanno sempre. Ad esempio le due canzoni sulle quali il mio pubblico quasi diventa ‘molesto’ (ride ndr) sono Alghero e Mary Lou di Mannarino. Queste proprio non le posso evitare. La mia però non vuole essere affatto una lamentela”.

In generale cosa pensi del pubblico campobassano? “Credo che la gente nei locali non vada tanto per la musica o, almeno non solo per quella. Le persone vanno dove al birra costa di meno, dove si sparge la voce che è più facile rimorchiare. Sono pochissimi quelli che vanno da qualche parte a seguito di una scelta consapevole da un punto di vista musicale e culturale. Questo lo dico anche con una punta di risentimento, perché secondo me ci dovrebbero essere altre motivazioni alla base. Allo stesso tempo credo che altrove sarebbe più facile proporre cose che qui difficilmente vengono preferite. Ad esempio nella zona di Firenze ci sono serate britpop, un genere non molto ballabile e che non va bene per il pubblico del capoluogo. Ovviamente sono esempi anche facili, perché in grandi città c’è un’offerta molto più ampia. Allo stesso tempo, però, sono anche certo che andare a mettere Alghero o Mannarino altrove, probabilmente non riscuoterebbe lo stesso successo”.

A Campobasso ci sono tanti altri dj, che rapporti hai con loro e cosa pensi soprattutto dei più giovani? “Ce ne sono tanti molto bravi. Io credo che il nostro sia un mestiere in cui non si smette mai di imparare, soprattutto dalle persone più grandi di te. Posso anche dire che a Campobasso c’è anche una fetta di persone che diciamo così ‘se la tira’, che fa questo mestiere per apparire, per ritagliarsi un personaggio, più che per amore verso la musica. Una realtà tipicamente molto accentuata in una dimensione provinciale come la nostra. Parliamo anche di una città dove molti hanno un’autostima musicale di se stessi esagerata, mentre forse dovrebbero volare più basso, anche perché questo è un mestiere dove nessuno inventa nulla. I fenomeni musicali che hanno fatto la storia sono altrove. Credo che in alcuni casi ci vorrebbe solo un po’ più di umiltà. E poi ovviamente, come in tutti i settori, c’è sempre quella porzione di colleghi che, mentre ti viene a fare i complimenti per come sta andando la serata, ti stringe la mano sperando di farti le scarpe.  Per quanto riguarda, poi, le nuove generazioni penso, invece, che abbiano proprio un rapporto diverso con la musica. Ad esempio, io quando vado a fare le serate mi porto le borse con i cd, mentre per loro queste sono cose sorpassate, perché con i programmi che ci sono adesso, fanno tutto con il computer”.

Progetti futuri al di là della musica? “A ottobre aprirò a Piazza della Repubblica un negozio di video games. Sarà possibile acquistare console, accessori, gadget, peluches, videogames nuovi e usati, e action figures. Si tratta di un’attività che comunque va a sposarsi bene con un’altra passione che coltivo da sempre”.

Sogni nel cassetto legati alla musica, invece? “Chissà magari un giorno poter fare una serata in Inghilterra dato che esco pazzo per il britpop. Oppure, volando più basso, al Circolo degli artisti di Roma, ma ovviamente (ride di gusto) sono sempre e solo sogni”.

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