Molise

  • Aborto, riflettori nazionali per il caso Molise. In regione 400 interruzioni volontarie di gravidanza ma solo un medico non è obiettore. Il tema torna in auge dopo Verona

    Dal Veneto fino al Molise si riaccendono i riflettori sull’interruzione volontaria di gravidanza. Il tema torna di attualità dopo che il Consiglio comunale di Verona ha approvato, con 21 voti favorevoli e 6 contrari, una mozione che dichiara il capoluogo della provincia veneta “città a favore della vita” e finanzia associazioni cattoliche contro l’aborto.

    La mozione, sottoscritta anche dal sindaco di centrodestra, Federico Sboarina, porta la firma del consigliere della Lega Alberto Zelger e votata pure dalla dem, Carla Padovani, ha fatto molto discutere. A schierarsi contro il provvedimento e contro la stessa esponente del centrosinistra, quasi tutto il PD: dal segretario Maurizio Martina al governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, in corsa per la segreteria nazionale. Barricate sono state alzate anche dal movimento femminista ‘Non una di meno’, le cui rappresentanti si sono presentate in municipio a Verona vestite da ancelle.

    Il documento approvato ha, così, fatto tornare in auge il tema della legge 194 e la questione aborto: tema molto sentito soprattutto in Molise, regione con un unico ginecologo a praticarlo. E proprio nel momento in cui la regione attende la nomina del commissario alla sanità, dalle pagine de ‘Il Mattino’, torna a parlare il dottor Michele Mariano, che già qualche tempo fa aveva rilasciato un’intervista a CBlive.

    Mariano che è tornato ad accendere i riflettori sulla 194 ha raccontato come il sistema in regione, nonostante l’assoluta carenza di medici non obiettori, funzioni alla perfezione. Da solo – ha detto, infatti, Mariano – riesco ad esaudire tutte le richieste, 400 all’anno, che arrivano anche dalle regioni limitrofe, dalla Campania, in particolare dal Sannio, dall’Abruzzo e dalla Puglia, credo per motivi di privacy. L’unità operativa che dirigo è completamente autonoma dal reparto al quale non posso accedere ma che ho diretto come facente funzioni per due anni, fino al 2009, quando è stato affidato in convenzione al Gemelli di Roma su decisione della giunta regionale guidata da Michele Di Iorio. Da allora il direttore per concorso non è stato ancora nominato, ma io relegato in una torre di avorio. Non ho infatti più accesso alla sala operatoria per gli altri interventi, ma quanti primari in Italia fanno le interruzioni di gravidanza? È uno stigma professionale”.

    Proprio nell’intervista di CBlive, lo stesso Mariano non aveva nascosto come molti suoi colleghi erano diventati obiettori perché “non vogliono esporsi e desiderano far carriera. Credo che per un ginecologo aveva detto in quell’occasione Mariano –  non dovrebbe essere ammessa l’obiezione di coscienza”.

    E invece, non solo è ammessa, ma dopo anni di lotte il provvedimento di Verona sembra quasi tracciare la via di un regresso sociale e culturale, che annienta le tante battaglie compiute in nome della libertà.

  • A Ripabottoni per imparare l’integrazione, quella autentica. Gli abitanti del borgo si distinguono sul campo da gioco, ma perdono la partita

    “Chi lo avrebbe mai detto”. È questa la frase che viene subito in mente quando un paese come Ripabottoni approda agli onori delle cronache nazionali. Sul tavolo da gioco il quanto mai attuale tema dell’immigrazione. In un paese di poco più di 500 anime è facile poter immaginare, come gli abitanti possano aver alzato le barricate. È, invece per una volta, ciò che sta accadendo nel piccolo Molise travalica i confini dei luoghi comuni. Le barricate i cittadini di Ripabottoni le hanno alzate è vero, ma per dire che i migranti dovevano restare.

    Lì in quel borgo di poco più di 500 anime dove, per chi non conosce la regione, arrivarci può assomigliare quasi a un’odissea. Eppure lì proprio lì, in un lembo di terra dove la vita assume ancora i contorni di qualcosa di genuino, gli abitanti del paese non hanno avuto paura di accogliere. Non hanno avuto paura di confrontarsi con una cultura diversa. Non hanno avuto il terrore che la storia del loro borgo potesse iniziare ad avere un nuovo corso. Hanno aperto le porte delle loro abitazioni, sperimentando senza remore cosa può significare davvero la parola ‘accoglienza’. E con le loro proteste in questi giorni stanno insegnando al resto della regione e al Paese intero che l’integrazione, quella vera, è possibile.

    In 150 hanno firmato la petizione indirizzata alla Prefettura di Campobasso affinché il Cas – centro di accoglienza straordinaria – Xenia- non venisse chiuso. Tutto inutile. La burocrazia non si è fermata nemmeno di fronte alla bellezza di qualcosa che in Italia non era ancora mai accaduto.

    I 32 richiedenti asilo sono stati spostati altrove, in 15 gli operatori rimasti a casa senza lavoro.

    Tantissimi i cittadini che in queste ore esprimono il loro dispiacere, la loro rabbia e il loro sdegno sui social. Nel luogo virtuale dei luoghi comuni per eccellenza, dove le fake news sulla questione migranti sono all’ordine del giorno, si susseguono invece post che ricordano come quei ragazzi, provenienti da paesi così diversi, avessero stretto legami profondi con la comunità di Ripabottoni.

    Il centro smantellato non riaprirà. Ha vinto la causa di chi pensava che il piccolo paese non sarebbe riuscito ad ospitare e a fare integrare sia i ragazzi del Cas che quelli del progetto Sprar. Ha vinto la burocrazia e un iter che, al momento opportuno, non ha saputo deviare dinanzi alle opinioni dei cittadini.

    A perderci sono stati tutti. Ci ha perso la vita del paese, che sarebbe potuta essere forse più allegra e colorata. Ci ha perso il destino di quel centro sperduto della regione da cui i giovani troppo spesso vanno via. Ci ha perso il Molise intero che, ancora una volta, non ha saputo valorizzare le sue esperienze migliori. E a nulla è valso che i cittadini di Ripabottoni questa volta si siano davvero distinti sul campo da gioco.

    Insieme si vince e insieme, in un paese come l’Italia, il più delle volte si è destinati a perdere.