A Ripabottoni per imparare l’integrazione, quella autentica. Gli abitanti del borgo si distinguono sul campo da gioco, ma perdono la partita

“Chi lo avrebbe mai detto”. È questa la frase che viene subito in mente quando un paese come Ripabottoni approda agli onori delle cronache nazionali. Sul tavolo da gioco il quanto mai attuale tema dell’immigrazione. In un paese di poco più di 500 anime è facile poter immaginare, come gli abitanti possano aver alzato le barricate. È, invece per una volta, ciò che sta accadendo nel piccolo Molise travalica i confini dei luoghi comuni. Le barricate i cittadini di Ripabottoni le hanno alzate è vero, ma per dire che i migranti dovevano restare.

Lì in quel borgo di poco più di 500 anime dove, per chi non conosce la regione, arrivarci può assomigliare quasi a un’odissea. Eppure lì proprio lì, in un lembo di terra dove la vita assume ancora i contorni di qualcosa di genuino, gli abitanti del paese non hanno avuto paura di accogliere. Non hanno avuto paura di confrontarsi con una cultura diversa. Non hanno avuto il terrore che la storia del loro borgo potesse iniziare ad avere un nuovo corso. Hanno aperto le porte delle loro abitazioni, sperimentando senza remore cosa può significare davvero la parola ‘accoglienza’. E con le loro proteste in questi giorni stanno insegnando al resto della regione e al Paese intero che l’integrazione, quella vera, è possibile.

In 150 hanno firmato la petizione indirizzata alla Prefettura di Campobasso affinché il Cas – centro di accoglienza straordinaria – Xenia- non venisse chiuso. Tutto inutile. La burocrazia non si è fermata nemmeno di fronte alla bellezza di qualcosa che in Italia non era ancora mai accaduto.

I 32 richiedenti asilo sono stati spostati altrove, in 15 gli operatori rimasti a casa senza lavoro.

Tantissimi i cittadini che in queste ore esprimono il loro dispiacere, la loro rabbia e il loro sdegno sui social. Nel luogo virtuale dei luoghi comuni per eccellenza, dove le fake news sulla questione migranti sono all’ordine del giorno, si susseguono invece post che ricordano come quei ragazzi, provenienti da paesi così diversi, avessero stretto legami profondi con la comunità di Ripabottoni.

Il centro smantellato non riaprirà. Ha vinto la causa di chi pensava che il piccolo paese non sarebbe riuscito ad ospitare e a fare integrare sia i ragazzi del Cas che quelli del progetto Sprar. Ha vinto la burocrazia e un iter che, al momento opportuno, non ha saputo deviare dinanzi alle opinioni dei cittadini.

A perderci sono stati tutti. Ci ha perso la vita del paese, che sarebbe potuta essere forse più allegra e colorata. Ci ha perso il destino di quel centro sperduto della regione da cui i giovani troppo spesso vanno via. Ci ha perso il Molise intero che, ancora una volta, non ha saputo valorizzare le sue esperienze migliori. E a nulla è valso che i cittadini di Ripabottoni questa volta si siano davvero distinti sul campo da gioco.

Insieme si vince e insieme, in un paese come l’Italia, il più delle volte si è destinati a perdere.