Fabiana Abbazia

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  • Alla scoperta di Fèlsina: tra armonia, complessità e un nuovo umanesimo. Mazzocolin: “Incontrarsi e progettare insieme: al centro di tutto il capitale umano”

    5 oli, 9 vini. Da Bibenda Galleria del Vino un viaggio alla scoperta di Fèlsina. A condurlo, Giuseppe Mazzocolin, insieme alla docente della Fondazione Italiana Sommelier, Mariaclara Menenti Savelli.

    Una delle Cantine simbolo del Chianti Classico, in un territorio di confine come quello di Castelnuovo Berardenga, si presenta ai tanti appassionati che hanno deciso di non perdere l’importante appuntamento.

    Una raffinata cultura umanistica, quella di Mazzocolin, che anche nella degustazione promossa a Campobasso ha dimostrato la sua attenzione per la terra e per tutti coloro che ad essa si dedicano.

    Dalle varie espressioni del Sangiovese, alla filosofia alla base della produzione dei suoi straordinari oli, quella raccontata è una terra dove regna incontrastata la diversità di suoli, di clima, di brezze, che conferiscono ai vini estrema eleganza e decisa riconoscibilità, ma che sono capaci anche di evocare un nuovo umanesimo e un nuovo capitale: quello che nasce dall’incontro di storie, vite, territori e saperi scambiati tra persone, così come ha spiegato Mazzocolin
    “L’agricoltura è una, noi abbiamo una storia che ha definito le eccellenze in ambito vitivinicolo, ora finalmente, anche l’olivicoltura sta esprimendo livelli qualitativi straordinari, impensabili fino a pochi anni fa. Ma le eccellenze non possono mai separarsi da quello che è l’ambito produttivo”. E proprio l’agricoltura, in questo contesto più generalizzato, ha ora il dovere per Mazzocolin di “trovare forme nuove di convivenza e di rispetto”.

    “È decisamente questo è il punto nodale. L’Italia – dice – è in gran parte un territorio agricolo che racconta una storia tutta da tutelare. Preservare non solo le tradizioni, ma la vita e la continuità dei sapori ritrovati deve essere l’obiettivo che guida il nostro agire. Il ritrovarsi, il riconoscersi è un aspetto decisivo. E la viticoltura, l’olivicoltura non possono mai identificarsi sono come un semplice scambio di prodotti o di vendita, ma deve riscoprire la sua dimensione umana. Solo così la circolarità dell’economia ritrova il suo senso più autentico”.

    Una nuova e più ampia profondità che parte, dunque, “da un capitale nuovo: che non si trova in banca, ma nei saperi delle persone, nella capacità di incontrarsi di progettare insieme”.  

    “È questo quello che io sento di evocare, anche e soprattutto in questa terra: il Molise. Una regione molto piccola, ma così densa e così attenta a tutto quello che vive intorno. È una realtà centrata non di certo separata”, ha concluso Mazzocolin, tra gli applausi dei presenti.

  • Aborto, riflettori nazionali per il caso Molise. In regione 400 interruzioni volontarie di gravidanza ma solo un medico non è obiettore. Il tema torna in auge dopo Verona

    Dal Veneto fino al Molise si riaccendono i riflettori sull’interruzione volontaria di gravidanza. Il tema torna di attualità dopo che il Consiglio comunale di Verona ha approvato, con 21 voti favorevoli e 6 contrari, una mozione che dichiara il capoluogo della provincia veneta “città a favore della vita” e finanzia associazioni cattoliche contro l’aborto.

    La mozione, sottoscritta anche dal sindaco di centrodestra, Federico Sboarina, porta la firma del consigliere della Lega Alberto Zelger e votata pure dalla dem, Carla Padovani, ha fatto molto discutere. A schierarsi contro il provvedimento e contro la stessa esponente del centrosinistra, quasi tutto il PD: dal segretario Maurizio Martina al governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, in corsa per la segreteria nazionale. Barricate sono state alzate anche dal movimento femminista ‘Non una di meno’, le cui rappresentanti si sono presentate in municipio a Verona vestite da ancelle.

    Il documento approvato ha, così, fatto tornare in auge il tema della legge 194 e la questione aborto: tema molto sentito soprattutto in Molise, regione con un unico ginecologo a praticarlo. E proprio nel momento in cui la regione attende la nomina del commissario alla sanità, dalle pagine de ‘Il Mattino’, torna a parlare il dottor Michele Mariano, che già qualche tempo fa aveva rilasciato un’intervista a CBlive.

    Mariano che è tornato ad accendere i riflettori sulla 194 ha raccontato come il sistema in regione, nonostante l’assoluta carenza di medici non obiettori, funzioni alla perfezione. Da solo – ha detto, infatti, Mariano – riesco ad esaudire tutte le richieste, 400 all’anno, che arrivano anche dalle regioni limitrofe, dalla Campania, in particolare dal Sannio, dall’Abruzzo e dalla Puglia, credo per motivi di privacy. L’unità operativa che dirigo è completamente autonoma dal reparto al quale non posso accedere ma che ho diretto come facente funzioni per due anni, fino al 2009, quando è stato affidato in convenzione al Gemelli di Roma su decisione della giunta regionale guidata da Michele Di Iorio. Da allora il direttore per concorso non è stato ancora nominato, ma io relegato in una torre di avorio. Non ho infatti più accesso alla sala operatoria per gli altri interventi, ma quanti primari in Italia fanno le interruzioni di gravidanza? È uno stigma professionale”.

    Proprio nell’intervista di CBlive, lo stesso Mariano non aveva nascosto come molti suoi colleghi erano diventati obiettori perché “non vogliono esporsi e desiderano far carriera. Credo che per un ginecologo aveva detto in quell’occasione Mariano –  non dovrebbe essere ammessa l’obiezione di coscienza”.

    E invece, non solo è ammessa, ma dopo anni di lotte il provvedimento di Verona sembra quasi tracciare la via di un regresso sociale e culturale, che annienta le tante battaglie compiute in nome della libertà.

  • L’incontro con il Presidente della Repubblica e la consegna dei diplomi da Sommelier: il Molise all’11° Forum Nazionale della Cultura del Vino

    Tre giorni intensi per la Fondazione Italiana Sommelier del Molise che lo scorso fine settimana ha preso parte a Roma, all’11° Forum Nazionale della Cultura del Vino alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

    La delegazione del Molise ha avuto modo di essere presente nell’Aula Chiesa della Luiss, una location di altissimo valore artistico e culturale, davanti ad un parterre esclusivo, composto da oltre 400 persone tra produttori di vino, sommelier, giornalisti e professionisti del settore.

    Una giornata unica e imperdibile da conservare tra i ricordi più belli”, come ha voluto ricordare il presidente della Fondazione Italiana Sommelier, Franco Maria Ricci, nel corso del suo intervento durante il quale ha evidenziato come “la presenza del Capo di Stato abbia dato quest’anno un valore ancora più elevato al lavoro degli educatori e dei comunicatori in una giornata che si ripete da 11 anni e che è nata con l’intento di essere un momento di riflessione sul lavoro dell’Italia su due importanti tradizioni culturali del Paese: il vino e il cibo”.

    Da parte del Presidente della Repubblica il saluto e il ringraziamento a chi quotidianamente si impegna nel settore. “Un fronte – ha detto Mattarella – di grande grande rilievo per il nostro Paese che richiama alla migliore storia dell’Italia e alla sua grande varietà”.

    Ma per il Molise quella di lunedì 2° luglio è stata davvero una giornata ricca di emozioni e soddisfazioni, dato che nel pomeriggio i neo sommelier che lo scorso 21 giugno hanno superato l’esame di qualifica professionale hanno avuto modo di prendere parte alla cerimonia della consegna dei diplomi.

    Nella sala ‘Belle Arti’ all’Hotel Rome Cavalieri ai neo sommelier della regione l’ambito riconoscimento è stato consegnato loro direttamente dal presidente Franco Maria Ricci e dai docenti della Fondazione Italiana Sommelier.

    Particolarmente soddisfatti la presidente e il vice presidente del Molise, Dora Formato e Gabriele Di Blasio. “Ogni anno – le loro parole – l’emozione è sempre maggiore, ma questa volta vivere l’incontro con il Presidente della Repubblica e, nello stesso giorno, assistere alla consegna dei diplomi dei corsisti del Molise è stato davvero un momento irripetibile”.

    Un brindisi ha poi suggellato nella sede romana gli auguri ai nuovi sommelier: Aneta Socha, Angela Solla, Annagrazia Rizzi Silvaroli, Fabiana Abbazia, Pasquale Figliola, Gianluigi Fornito, Likmeta Brixhida, Giovanni Antonio Solla, Sonia Gliottone e Vincenzo Franza.

    Calice in alto, infine, anche per le tantissime novità in cantiere in casa della Fondazione Italiana Sommelier del Molise.

  • Il Molise incontra la Schiava e il Lagrein. L’enologo Andrea Moser a Campobasso per raccontare i vitigni autoctoni dell’Alto Adige

    Profumi delicati in grado di giocare tra fiori e frutta, apprezzata bevibilità capace di non sciupare l’eleganza di un vino che da sempre è sulle tavole alto atesine e che, a dispetto di quanto spesso si crede, può abbinarsi con la fantasia degli chef e tanti altri prodotti del Belpaese. A fare da protagonista del secondo incontro dedicato all’Alto Adige, promosso dalla Fondazione Italiana Sommelier Molise, è stata la Schiava. Accanto a lei, il Lagrein, altro vitigno autoctono con un’espressione del tutto differente.

    Questa volta a condurre questo nuovo ed entusiasmante viaggio nelle zone del Lago di Caldaro, insieme alla docente della Fondazione, Maria Clara Menenti, è stato l’enologo della cantina Kaltern, Andrea Moser.

    Dalle versioni classiche a quelle più moderne, dalle espressioni che derivano da vitigni molto vecchi, fino a un invecchiamento di dieci anni a dimostrazione di come la Schiava sappia conservare bene i propri anni. Il tutto suddiviso in ben 14 vini differenti, ognuno dei quali capace di esprimere un’identità del tutto diversa dalle altre.

    Quando nella difficile annata del 2014 Moser arrivò in azienda fu alla guida di una riforma del panel dei vini “perché – ha raccontato – volevamo puntare sulla qualità e focalizzaci su alcune qualità poco conosciute. In Alto Adige, un territorio in cui la vite si coltiva dai 200 ai 700 metri di altitudine e con esposizioni differenti, c’è la possibilità di produrre tantissimi vitigni e farlo con ottimi risultati. Lo continuiamo a fare, cercando di dare rilievo proprio alle varietà meno conosciute altrove, che però meglio incarnano l’identità del territorio”.  Ed è questo il caso della Schiava, essendo la zona del Lago di Caldaro un’area molto predisposta per i rossi, mentre sul bianco si punta molto sul Pinot e sul Souvignon che, come ha ricordato Moser “nel nostro territorio danno davvero il meglio”.

    E se l’enologo che, qualche anno fa, in bicicletta ha addirittura attraversato l’Italia insieme alle sue bottiglie per far sì che i vini tipici di Caldara potessero confrontarsi con creazioni e piatti di altri territori, ad omaggiare l’Alto Adige nel suo incontro con il Molise ci ha pensato la chef Barbara Comune che per l’occasione ha proposto finger food a tema. Ma i sapori alto atesini dei crauti e delle frittelle di mele si sono uniti a quelli tipici della regione ospitante, come ad esempio la farina Agostinelli macinata a pietra che ha composto un delicato tortino di polenta. Perché se nella varietà si cela l’identità, è nella contaminazione dei territori che si ‘scopre’ la cultura.

  • A Ripabottoni per imparare l’integrazione, quella autentica. Gli abitanti del borgo si distinguono sul campo da gioco, ma perdono la partita

    “Chi lo avrebbe mai detto”. È questa la frase che viene subito in mente quando un paese come Ripabottoni approda agli onori delle cronache nazionali. Sul tavolo da gioco il quanto mai attuale tema dell’immigrazione. In un paese di poco più di 500 anime è facile poter immaginare, come gli abitanti possano aver alzato le barricate. È, invece per una volta, ciò che sta accadendo nel piccolo Molise travalica i confini dei luoghi comuni. Le barricate i cittadini di Ripabottoni le hanno alzate è vero, ma per dire che i migranti dovevano restare.

    Lì in quel borgo di poco più di 500 anime dove, per chi non conosce la regione, arrivarci può assomigliare quasi a un’odissea. Eppure lì proprio lì, in un lembo di terra dove la vita assume ancora i contorni di qualcosa di genuino, gli abitanti del paese non hanno avuto paura di accogliere. Non hanno avuto paura di confrontarsi con una cultura diversa. Non hanno avuto il terrore che la storia del loro borgo potesse iniziare ad avere un nuovo corso. Hanno aperto le porte delle loro abitazioni, sperimentando senza remore cosa può significare davvero la parola ‘accoglienza’. E con le loro proteste in questi giorni stanno insegnando al resto della regione e al Paese intero che l’integrazione, quella vera, è possibile.

    In 150 hanno firmato la petizione indirizzata alla Prefettura di Campobasso affinché il Cas – centro di accoglienza straordinaria – Xenia- non venisse chiuso. Tutto inutile. La burocrazia non si è fermata nemmeno di fronte alla bellezza di qualcosa che in Italia non era ancora mai accaduto.

    I 32 richiedenti asilo sono stati spostati altrove, in 15 gli operatori rimasti a casa senza lavoro.

    Tantissimi i cittadini che in queste ore esprimono il loro dispiacere, la loro rabbia e il loro sdegno sui social. Nel luogo virtuale dei luoghi comuni per eccellenza, dove le fake news sulla questione migranti sono all’ordine del giorno, si susseguono invece post che ricordano come quei ragazzi, provenienti da paesi così diversi, avessero stretto legami profondi con la comunità di Ripabottoni.

    Il centro smantellato non riaprirà. Ha vinto la causa di chi pensava che il piccolo paese non sarebbe riuscito ad ospitare e a fare integrare sia i ragazzi del Cas che quelli del progetto Sprar. Ha vinto la burocrazia e un iter che, al momento opportuno, non ha saputo deviare dinanzi alle opinioni dei cittadini.

    A perderci sono stati tutti. Ci ha perso la vita del paese, che sarebbe potuta essere forse più allegra e colorata. Ci ha perso il destino di quel centro sperduto della regione da cui i giovani troppo spesso vanno via. Ci ha perso il Molise intero che, ancora una volta, non ha saputo valorizzare le sue esperienze migliori. E a nulla è valso che i cittadini di Ripabottoni questa volta si siano davvero distinti sul campo da gioco.

    Insieme si vince e insieme, in un paese come l’Italia, il più delle volte si è destinati a perdere.

  • Un viaggio tra le ENOzioni di Marsala: alla scoperta della Sicilia

    Ancora un nuovo e affascinante viaggio alla scoperta dei territori italiani, quello targato Fondazione Italiana Sommelier Molise. Questa volta la piccola regione ha potuto incontrare una delle terre più poliedriche d’Italia: la Sicilia.

    Il percorso culturale proposto ha visto i numerosi partecipanti confrontarsi con il vino simbolo dell’enologia siciliana. A raccontare il Marsala attraverso sei declinazioni è stata Maria Antonietta Pioppo, presidente della Fondazione Italiana Sommelier Sicilia Occidentale che ha accompagnato i presenti in un viaggio attraverso sapori e profumi di una delle regioni più belle d’Italia.

    Sei i vini in degustazione abbinati con prodotti tipici del territorio: Donna Franca Marsala Superiore Riserva Semisecco Ambra – Cantine Florio; Mille Marsala Superiore Semisecco 10 anni Dop Ambra – Rallo; Marsala Superiore Riserva Storica 1988 – Vito Curatolo Arini; Marsala Vintage 1980 Riserva Vergine Secco – Francesco Intorcia Heritage; Marsala Vergine Riserva 1988 Doc – De Bartoli; Marsala Oro Superiore Riserva vino liquoroso DOC – Cantine Pellegrino.

    Tra gli abbinamenti proposti il formaggio erborinato da provare con il Marsala Donna Franca delle Cantine Florio e il Marsala Vintage di Francesco Intorcia Heritage. Nel piatto anche il cioccolato fondente e il cioccolato modicano da provare con il Marsala Oro delle Cantine Pellegrino. Proprio quest’ultimo trova il suo abbinamento ideale anche con il panettone al mais, tipica specialità molisana.

    Altra sorpresa la Tuma Persa, formaggio siciliano che ben si sposa con il Marsala Superiore Riserva Storica 1988 di Vito Curatolo Arini e la mozzarella di bufala campana con scorzetta di limone servito su letto di pomodoro e filo di Tonda Iblea, olio da omonima cultivar siciliana.

  • Marco e quella rotonda dagli occhi blu

    Il senso dell’estetica, una laurea in architettura in tasca e la voglia di rendere più accogliente la propria città. È stata la somma di questi elementi a spingere, qualche tempo fa, Marco Rateni a chiedere al Comune di Campobasso di poter ‘adottare’ un’aiuola. Precisamente quella alla rotonda nei pressi di contrada Selvapiana, nelle vicinanze del vivaio di famiglia.

    E Marco che attualmente realizza giardini artistici per conto dell’impresa del padre ha deciso di donare un po’ della sua arte anche alla città di Campobasso. Tutti materiali naturali per un disegno in cui, dice, “il bello è rappresentato proprio dal fatto che ognuno vede sempre qualcosa di diverso” .

    Al di là di quelle che Umberto Eco avrebbe chiamato “le intenzioni del lettore”, per realizzare la sua opera d’arte nella rotonda nei pressi dello stadio, Marco ha usato la fantasia, ispirandosi anche alla copertina di un disco dei Def Leppard, un gruppo musicale britannico nato alla fine degli anni settanta.

    E lì, tra le auto in corsa ha trovato posto un’opera, ‘Little girl’s eyes’ (come la canzone di Lenny Kravitz ndr), a cui, nonostante ciò che ognuno possa vedere, Marco ha dato un significato ben preciso che lui stesso ha descritto, lo scorso 15 giugno, a corredo delle foto dell’opera. “Un nuovo occhio si è aperto nel comune di Campobasso. Le sue sfumature lo assimilano ad uno specchio d’acqua all’interno del contesto verde che lo circonda. Blu come i profondi oceani, azzurro come il cielo di Cotugno, viola delle misteriose galassie.  Un occhio come quello di mia madre, che mi sarà sempre vicina in ogni istante della mia vita. Un occhio come quello della splendida Martina, la piccola della famiglia. Un occhio come quello dei due fratelli che tra poco diventeranno papà. Un occhio che mi ricorda una notte da sogno di mezza estate. Street Art e Land Art – conclude Marco possono fare davvero grande la nostra bella Città, basta anche solo aprire un occhio”.

    Per fare spazio a quella nuova prospettiva Marco ha usato solo materiali naturali. “Ho utilizzato – racconta – pietre di diversi colori. Quelle che si trovano nei vivai, ma in realtà ho aggiunto anche una serie di pietre che ho collezionato nel corso degli anni, come una piccola pietra blu presa ai piedi della celebre ‘Casa sulla cascata’ in Pennsylvania o, altre raccolte sulla riva dei laghi in cui sono stato in giro per il mondo”.

    “Al centro,  – continua a descrivere per ricreare il nero della pupilla ho messo la terra, che col tempo ospiterà delle piante nere, mentre attorno al lampione si arrampicherà un acero rosso. Inoltre, sulle pietre che delimitano il contorno delle aree blu, ho passato un velo di vernice catarifrangente. Mentre la cosa che più mi piace è che, vista dall’alto, è come se le strisce pedonali attorno alla rotonda, formino le sopracciglia dell’occhio”.

    Marco a cui davvero piace che qualcuno, in quell’immagine, ci abbia anche visto “il mondo”, vuole solo che tutti possano leggere un unico messaggio, ovvero la “necessità di riqualificare le aree degradate della città, per donare decoro a un capoluogo che agli inizi del ‘900 era noto per il suoi ampi spazi verdi”. Il tutto ovviamente autofinanziandosi e sperando che anche gli altri possano fare lo stesso o, almeno trovare qualcuno che sposi l’iniziativa e che lo aiuti a realizzare ciò che ha in mente: un piano di valorizzazione capace di coinvolgere altre zone della città.

    Intanto, in attesa che ciò possa accadere, Marco che quell’aiuola promette di arricchirla sempre di più, “tempo e soldi permettendo, durante il mese di settembre andrà sul lago di Como a realizzare un giardino, ispirato a ‘Dark side of the Moon’ dei Pink Floyd, per aver vinto un concorso a cui erano chiamate a partecipare le imprese con un disegno dedicato alla luna.

    “Quando l’ho saputo, – dice – ho subito pensato alla copertina dei Pink Floyd e ho presentato un progetto con la variazione policromatica con pietre e piante dai colori diversi. Mentre il prisma al centro della copertina è una struttura in legno, il raggio di luce che entra dall’ interno è formato da led che si illumineranno nelle ore notturne”. Con queste parole Marco parla dell’opera d’arte che andrà a realizzare il mese prossimo, dopo essersi classificato al terzo posto del concorso ‘Orticolario’. Un’occasione per scoprire come il tema del verde possa essere contaminato dalla musica rock e sperando soprattutto che ciò possa avvenire in una città come Campobasso, magari proprio sotto quell’occhio attento che lui stesso ha creato.

  • Laura Marianera, con un kit anti malocchio made in Molise

    “Togliere il malocchio” ora non è più solo un antico rito confinato in Molise, ma questa antica tradizione ha varcato i confini regionali per diventare addirittura patrimonio internazionale. A far fare questo salto di qualità, ma soprattutto di visibilità, a una pratica che in molti portano ancora avanti, ci ha pensato Laura Marianera, giovane di Campobasso che, con un apposito kit pensato per poter “togliere il malocchio”, ha vinto il bronzo per la categoria “Cultural Heritage and Culture Industry Design Category” nella più grande e diffusa competizione internazionale di design al mondo: A’ Design Award & Competition.

    Laura, che attualmente lavora come grafica a Firenze e sta per prendere la Laura specialistica, nel 2014 con una tesi triennale in Disegno Industriale all’Università di Firenze, aveva sviluppato tre progetti legati a tradizioni, superstizioni e cibi molisani. Oltre al kit con cui ha ottenuto il prestigioso riconoscimento, la giovane del capoluogo aveva realizzato altri due progetti, uno legato alla pizza scema di Baranello, tipica del giorno di San Martino, e uno relativo alla ‘Ndocciata di Agnone legata alla tradizione di portare una ‘ndoccia davanti casa dell’amata per chiederle di sposarla.

    Tuttavia, tra i tre progetti il ritual kit, denominato “Occhiataccia”, le è sembrato quello più adatto a una giuria internazionale. “In moltissime culture – racconta infatti Laura –  ci sono riti e tradizioni simili e, oltre a essere particolarmente legata a  questo progetto, mi è sembrato quello più facile da spiegare”.

    È stato così che, una volta sviluppato il progetto, lo stesso è stato prototipato in ceramica da un’azienda di  Vinchiaturo che ha realizzato sia il prodotto che la decorazione. Ne è derivato un “attrezzatura anti malocchio” dal design raffinato e moderno. Originale e innovativo anche il packaging, parte integrante degli altri strumenti, dove è riportata la guida di utilizzo.

    Insomma, sembra proprio una di quelle cose che non dovrebbero mai mancare in una casa: sia delle persone più anziane, sia di quelle più giovani, che ancora in Molise conoscono e praticano una delle più antiche tradizioni. E chissà che ciò non possa avvenire: la speranza è trovare un imprenditore che decida di mettere il kit in produzione. “Sarebbe davvero bello – dice Laura – poter vedere questo prodotto in vendita, magari come souvenir per chi viene in Italia e in Molise e ha voglia di acquistare un oggetto che racchiuda antiche tradizioni di un popolo”.

    Un modo originale e innovativo per poter esportare il Molise, attraverso un gadget Made in Italy, realizzato da chi pur decidendo di studiare e vivere fuori dal contesto regionale continua ad avere un rapporto molto stretto con la piccola regione. “Il cibo e la montagna”, dice infatti Laura sollecitata a pensare a due cose che più le mancano di un Molise, dove i collegamenti di trasporto rappresentano purtroppo ancora la nota dolente che spesso impedisce a chi vive fuori di tornare più di frequente.

    “Chi si trova in altre parti d’Italia e magari vorrebbe tornare più spesso è però scoraggiato dai collegamenti e soprattutto da tutte le vicissitudine che accadono sul treno Roma – Campobasso”. Insomma, se il Molise, con tutti i suoi riti e le sue superstizioni esiste, così come ora dimostra anche un premio internazionale, dovrebbe, però, trovare anche il modo di essere finalmente raggiungibile per chi ha scelto di scoprirlo.

  • Dai freestyle con gli amici al campetto di basket di Ferrazzano, al suo primo disco: il rapper Andrea Cerullo, in arte JanahDan, si racconta.

    JanahDan per il mondo della musica, che per gli amici resta il più familiare Andrea Cerullo è nato a Campobasso e nei suoi primi trent’anni ne ha già fatta tanta di strada. Cantante, musicista, scrittore ed autore, è in questi giorni emozionato per l’uscita del suo primo album ‘Onironautilus’ da qualche giorno ufficialmente in tutti gli stores digitali. Undici tracce in cui si mescolano riflessioni profonde e a volte allegoriche sulla società e sul costume, racconti di vita vissuta, sospensione della realtà, sana ironia per più piani di lettura, uniti da un unico filo conduttore: il viaggio.

    Andrea vive nel capoluogo molisano insieme alla sua famiglia, quando inizia ad avvicinarsi alla musica soul/funk, proprio grazie ai vinili collezionati dal padre fin dagli anni settanta. Qualche anno più tardi sarà il campetto da basket della Nuova Comunità, un vecchio stereo con le cassette delle registrazioni di One Two One Two (la nota trasmissione radiofonica dedicata all’hip hop ndr), a divenire il contesto che fa da sfondo ai primi freestyle tra amici che, alla fine degli anni novanta, condividono la stessa passione per quel genere di musica.

    Nella sua permanenza a Campobasso, Andrea fa parte del primo storico sound della città Ganja Smoka’. Finite le scuole superiori si trasferisce a Roma, dove all’Università ‘La Sapienza’ consegue la Laurea magistrale in Lettere e Filosofia, con indirizzo Spettacolo. Durante gli studi collabora con diversi artisti e i primi successi derivano dalle numerose vittorie nei contest di freestyle, grazie alle quali viene poi chiamato a partecipare a diversi e interessanti progetti e live. Tra quest’ultime esibizioni, ci sono aperture ad artisti di spessore del panorama italiano ed internazionale come Afu Ra, Almamegretta, James Senese, Tricky, Artificial Kid, Dub Sync, Ghemon, Rootsman.

    Il giovane di Campobasso si trova così a collaborare anche con Soulcè, DeejWise e Smania Uagliuns, e saranno proprio quest’ultimi a condurlo verso l’etichetta indipendente ReddArmy e quindi verso il disco, nel quale gli stessi sono presenti in due pezzi. La maggior parte delle tracce di ’Onironautilus’ sono curate dal polistrumentista Shiny D (Torpedo, Voodoo Brothers), di altri quattro brani, invece, due sono prodotti da The Agronomist e due da VirtuS.

    Prima di approdare all’album, però, la passione di Andrea per la musica corre parallelamente a quella per la scrittura che lo porta, nel 2011, a frequentare la Comics Scuola Internazionale del Fumetto, dove sotto gli insegnamenti del maestro Lorenzo Bartoli consegue, col massimo dei voti, il titolo in Sceneggiatura e Scrittura creativa. Da questo percorso otterrà due pubblicazioni nei panni di soggettista e sceneggiatore. Tutt’ora Andrea è impegnato in una collaborazione oltreoceano con la Mike Lanza Menagement, per la realizzazione di una storia a fumetti sullo storico gruppo hiphop di LosAngeles: Jurassic 5.

    Uno stile di scrittura quello dei fumetti che in qualche modo riecheggia nel disco, la cui copertina è stata disegnata da Arturo Lauria e che sta già avendo un notevole riscontro di pubblico, al pari del singolo ‘Di notte’, il cui video è diretto da Matteo Montagna. Immagini, suoni e testi di cui ci parla lo stesso artista che nell’intervista a CBlive racconta un po’ di sé, della sua musica e del suo rapporto con la città di Campobasso.

    Quando hai capito che nella tua vita la musica avrebbe avuto un peso fondamentale? “Quando ho smesso di dire che volevo fare l’astronauta. Quando ero piccolo, ogni domenica mattina mio padre metteva della musica rigorosamente in vinile sul suo personalissimo Technics a cinghia. Si passava da Tullio De Piscopo ai Meters e io mi lanciavo sul pavimento simulando inconsapevolmente una sorta di breakdance dall’estetica discutibile, ma sufficiente a farmi pensare: hey questa roba è molto più elettrizzante dell’apollo 13!”

    I tuoi primi freestyle nascono a Campobasso, più precisamente al campetto di basket della Nuova Comunità. Sono gli anni novanta e con alcuni amici condividi la passione per l’hip hop. Che ricordi hai di quegli anni? Cosa è cambiato e, soprattutto, come sei cambiato tu? “Ho dei ricordi di spensieratezza. Sentivamo il bisogno di esprimerci, per esorcizzare la routine di una città, che soprattutto all’epoca, aveva poco da offrire ai ragazzi. Eravamo pochissimi a dedicarci a questa cultura. In quegli anni, o eri un ‘truzzo’ da discoteca o uno smontatore di motorini o, nella peggiore delle ipotesi, finivi in brutti giri. Noi ci eravamo creati una sorta di indipendenza da tutto questo coniugata con l’arte non solo dei microfoni, ma anche dello spray e del ballo. Da allora sono cambiate tantissime cose, i ragazzi si riuniscono più nelle piazze virtuali che in quelle di cemento. In realtà, anche io all’epoca avevo iniziato a scrivere i miei testi direttamente su computer. La digitalizzazione è stato un processo inevitabile che ha portato sicuramente a più informazione e propagazione. Oggi gli amanti della cultura hiphop a Campobasso sono tantissimi, tuttavia quando ero in giro con la mia ‘crew’ mi sentivo in famiglia, eravamo pochi ma saldi, oggi sento che questo livello di familiarità in parte sta scemando”.

    Che rapporto hai oggi con la tua città e con il panorama musicale del Molise? Con la mia città ho un ottimo rapporto. Ovviamente mi riferisco alle persone che la popolano, molte persone mi seguono, molte non mi conoscevano ed hanno fatto un viaggio a ritroso scoprendo il mio nome tra antiche pergamene ingiallite nascoste nelle cripte dei sotterranei della Cattedrale. E’ bello tornare e vedere che c’è sempre più gente che si rimbocca le maniche e cerca di fare qualcosa di culturalmente, artisticamente e socialmente valido. Dai tempi in cui iniziai io, le acque si sono decisamente smosse, sebbene noto ancora un pò di diffidenza da parte delle istituzioni. Sembra quasi che se non fai la ‘sagra del cavatello’ loro non si muovono”.

    Come nascono le tue composizioni e cosa fai quando ti senti ispirato? “Io sono un viaggiatore metropolitano. E come tale ho sempre dinnanzi a me l’operato della società, il suo status, le tendenze, le evoluzioni o involuzioni, i suoi diritti e i suoi soprusi. Perciò le mie composizioni nascono da qui, dal ‘noi’ inteso come razza umana. Poi nel mio piccolo tugurio sul pianeta Ultramar mi trasformo in alchimista astropate e cerco di modellare la forma migliore per esprimere ciò che avverto”.

    Il 27 ottobre scorso è uscito il tuo disco: parlaci un po’ di quest’ultima fatica musicale. “Onironautilus è un disco di undici tracce ed è uno shakerato di funk, jazz e reggae, ma di matrice certamente hiphop, con tantissimi ospiti di cui musicisti, deejays, rappers e cantanti. Quindi la mia musica non ha una collocazione necessariamente catalogabile sotto un unico insieme. Con questo presupposto non è stato difficile trovare subito una sintonia con i membri delle etichette di RedGoldGreen e Reddarmy, in entrambi i casi il mio confronto è stato con persone che hanno una visione della musica a 360 gradi e questo è stato molto stimolante per me”.

    Onironautilus: il titolo accosta una visione onirica all’immaginario sottomarino ideato dallo scrittore francese Verne. Perché questa scelta? “Concettualmente si tratta di un viaggio traslucido (onirico) attraverso questo veicolo che dà, appunto, il nome al disco. Il Nautilus è il famoso sommergibile di Verne, tuttavia è anche un tipo di conchiglia molto particolare che si riteneva estinta e che poi, invece, è stata riscoperta in seguito. Questa è un po’ anche la caratteristica della mia musica, che prende spunto dalla musica del passato (creduta estinta) ma che si rinnova riscoprendosi, e si spera, evolvendosi”.

    ‘Di Notte’, il nuovo singolo estratto da Onironautilus, in qualche modo parla di “notti in cui è possibile guardare oltre”. Oltre da cosa? “Oltre le inibizioni del giorno. E’ un’altra dimensione, è certamente il momento in cui togliamo gli abiti della nostra professione e siamo finalmente noi stessi, generalmente è un momento di libertà dalle sofferenze e dai pesi della vita. Non si può vivere solo di notte ed è questo che la rende speciale, tuttavia chi vive solo di giorno è come se vivesse a metà”.

    Il videoclip è ambientato per le strade e i quartieri di Roma ed è stato girato da Matteo Montagna, che ha lavorato con artisti con Piotta, Amir e Adriano Bono. Com’è stato lavorare con lui e girare le scene? “Con Matteo ormai siamo amici. E’ stato lui a girare e montare tutti i miei videoclip ufficiali. Mi fido molto del suo modo di operare ed è veramente in gamba nel muovere la macchina. Mi trovo molto bene con lui, perché la mia creatività è compatibile con la sua, quindi spesso accade che riusciamo ad adeguarci alle situazioni tirando fuori idee anche all’ultimo secondo. A volte, ad esempio, può mancare all’ultimo un oggetto che ci serviva o, magari, una location non è utilizzabile per variegati motivi: in quei casi riusciamo sempre a venirne fuori con colpi di scena inaspettati. Nonostante sia decisamente faticoso, ci divertiamo molto quando siamo sul set dove ne possono capitare di tutti i colori, soprattutto se stai girando a Roma in zone più o meno popolate, dove il personaggio del giorno può sempre spuntare fuori da un momento all’altro”.

    Sugli 11 brani del disco, qual è quello che meglio ti rappresenta o quello al quale ti senti maggiormente legato? “In realtà ho difficoltà a dire quale mi rappresenta di più. Sono tutti delle sfaccettature della mia vita ed escluderne una sarebbe come togliere un pezzo di me, tuttavia posso certamente ammettere che ‘Facce da photoshop’ è stato il trampolino di lancio per la scelta musicale ed il concept”.

    Nella tua vita non solo la musica ti ha dato grosse soddisfazioni a livello professionale e personale, ma anche la scrittura creativa e i fumetti. Attualmente impegnato in una collaborazione oltreoceano con la Mike Lanza Menagement, per la realizzazione di una storia sullo storico gruppo hiphop di LosAngeles: Jurassic 5. Di preciso di cosa si tratta ? “Per questo sarò per sempre grato al mio compianto professore della scuola internazionale di Comics, Lorenzo Bartoli, che io definivo il Genio delle Tartarughe. Sicuramente è stato uno degli incontri più significativi della mia vita e, grazie a lui, ho acquisito la consapevolezza che avrei potuto scrivere e farlo decisamente bene. Ormai sono diversi anni che pianifico la conquista del sistema interplanetario Genoma IV con il mio collega di delirio Arturo Lauria, disegnatore tanto eccezionale quanto stra maledetto da Satana, con cui abbiamo condiviso la prima pubblicazione di una storia a fumetti da me sceneggiata e da lui disegnata. Da lì è nato un sodalizio molto saldo a tal punto che il buon vecchio Mike Lanza ha visto i suoi disegni e gli ha chiesto: hey questa roba spacca! Che ne pensi di fare una storia sui Jurassic 5?. Lui senza pensarci gli ha detto: ho anche lo sceneggiatore che si fa endovena di Jurassic 5. Parlava di me che effettivamente sono un fan accanitissimo del gruppo, adesso siamo in fase di sviluppo, perciò incrociamo le dita”.

    Un consiglio ai giovani del capoluogo che vogliono fare musica? Il consiglio che posso dare a chi vuole fare musica, qualsiasi genere essa sia, è di studiare. Quindi andare ai concerti, comprare dischi, seguire le riviste di settore, oltre ovviamente ad allenarsi costantemente. All’esterno sembra che ormai fare musica equivalga a sapersi mettere in posa per i social network ma non è così. La musica deve andare oltre la moda del momento se si vuole fare questa professione. L’unico modo per convincersi di fare bene, è fare musica di qualità soprattutto in un periodo dove lo spam ci ricopre fino al collo. Non so se ci sarà una sdrammatizzazione di questo paradigma, non so cosa accadrà prossimamente, ma so per certo che se ognuno fa la propria musica, con passione e qualità, allora non potrà mai rimpiangere nulla quando la farà ascoltare ai propri nipoti”.